18 marzo
V Domenica di Quaresima

Parola di Dio

Ger 31,31-34: Concluderò un’alleanza nuova e non ricorderò più il peccato

Sal 50: R. Crea in me, o Dio, un cuore puro

Eb 5,7-9: Imparò l’obbedienza e divenne causa di salvezza eterna

Gv 12,20-33: Se il chicco di grano caduto in terra muore, produce molto frutto

 

Commento

Nella quinta domenica di Quaresima troviamo il brano evangelico che narra l’episodio di alcuni Greci che volevano vedere Gesù e chiedono la mediazione dei discepoli per poterlo incontrare (Gv 12,20-33), seguito da un discorso di Gesù che sviluppa tematiche legate alla sua Pasqua. Come prima lettura giungiamo al culmine del percorso proposto dal lezionario di Quaresima dell’anno B con l’annuncio di una nuova alleanza nel libro di Geremia (Ger 31,31-34). Il testo della Lettera agli Ebrei che costituisce la seconda lettura può permettere un collegamento tra la nuova alleanza annunciata da Geremia e l’atto sacerdotale di Gesù, realizzatosi con il dono della sua vita in obbedienza al Padre.

Il brano evangelico è tratto dalla conclusione della prima parte del Vangelo di Giovanni (cc. 2-12), che alcuni esegeti chiamano “libro dei segni”, immediatamente prima della seconda parte del Quarto Vangelo che sarà tutta dedicata alla narrazione della passione, morte e risurrezione di Gesù (cc. 13-21), introdotta dal lungo discorso di addio del Maestro rivolto ai suoi discepoli (cc. 13-17). Il passo di Giovanni, scelto dalla liturgia per questa ultima domenica di Quaresima, si apre con una richiesta da parte di «alcuni Greci» (Gv 12,20) di poter vedere Gesù, di poterlo incontrare. La domanda viene posta a uno dei discepoli di Gesù di nome Filippo, il quale coinvolge subito in questa sua missione Andrea. I due discepoli insieme vanno a comunicare a Gesù quanto accaduto. Sembra quasi che ci sia una continuità tra questo testo e l’incontro di Gesù con i suoi primi discepoli all’inizio del Vangelo. Infatti Andrea e Filippo sono menzionati nell’episodio di Gv 1,35-51. Essi dopo aver incontrato Gesù portano ad altri l’annuncio di aver trovato il Messia e colui di cui parlano le Scritture (Gv 1,41.45). C’è quasi un movimento contrario: all’inizio del Vangelo i discepoli portano ad altri, Pietro e Natanaele, l’annuncio di aver incontrato Gesù; ora al termine della prima parte del racconto giovanneo essi portano a Gesù il desiderio di alcuni gentili, simpatizzanti per la fede di Israele, di poterlo incontrare. Sarà il compito dei discepoli di Gesù dalla Pasqua in poi: portare a Gesù tutte le genti.

La reazione di Gesù di fronte a questo annuncio è sorprendente. Egli innanzitutto dichiara che «è venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato» (Gv 12,23). Quell’ora già annunciata fin dall’inizio del Vangelo (cf. Gv 2,4), di fronte alla domanda dei Greci di poterlo incontrare, sembra essere giunta. La salvezza che raggiunge ogni uomo e ogni donna nella Pasqua di Gesù, l’evento che permette a tutti i popoli di entrare nell’alleanza con Dio, è il segno che l’ora è arrivata. La domanda dei Greci rivela questo compimento.

Dopo la dichiarazione fondamentale dell’ora, Gesù pronuncia alcuni insegnamenti sul senso della sua Pasqua. Innanzitutto egli riprende l’immagine del seme, applicandolo al dono della sua vita: se il seme muore sottoterra, porta frutto; se non muore, rimane solo (cf. Gv 12,24). Ma questo significato dell’evento pasquale di Gesù come vita donata che porta frutto ha delle conseguenze per l’esistenza dei suoi discepoli: ad immagine di Gesù dovranno imparare che «chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna» (Gv 12,25). Nel Vangelo c’è un esplicito invito alla sequela di Gesù in questa logica di vita, confermato anche dalla voce del Padre, che afferma che nella vita donata del Figlio, il nome del Padre viene glorificato. Il brano si conclude con un riferimento all’innalzamento di Gesù sulla croce, grazie al quale tutti saranno attratti a lui. Un tema che abbiamo già incontrato nella domenica precedente (Gv 3,14-21).

Nella prima lettura troviamo un testo fondamentale: l’annuncio da parte di Geremia di una nuova alleanza. Non si tratta di una alleanza nuova per contenuto, o nuova per destinatari. L’alleanza infatti riguarda sempre la Torah/Legge ed è conclusa con la casa di Giuda e con la casa di Israele. Tuttavia si afferma che non sarà una alleanza come quella stretta all’uscita dell’Egitto. Dove sta allora la novità della nuova alleanza? Il testo di Geremia afferma che la novità riguarderà “il supporto” sul quale la Torah/Legge sarà scritta: il cuore. La novità della nuova alleanza consiste nel fatto di essere scritta nel cuore e stipulata nel perdono del peccato del popolo da parte del Signore Dio. È l’esperienza del perdono che sa trasformare tutto e ridonare un futuro a coloro che, come gli interlocutori di Geremia, pensavano di non avere davanti a sé che un tempo senza speranza e senza gioia.

I discepoli di Gesù riconosceranno nell’espressione “nuova alleanza”, che in tutto l’Antico Testamento compare solo in questo passo di Geremia, una chiave di lettura della Pasqua del loro Signore. La lettera agli Ebrei può infatti affermare che Gesù, grazie alla sua obbedienza, «divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono» (Eb 5,9). In questo si compie l’atto sacerdotale di Gesù (cf. Eb 5,10), nel suo «pieno abbandono» alla volontà del Padre e nel dono della sua vita, come il chicco di grano che porta molto frutto solo se muore nei solchi della terra. Con questi testi molto ricchi la liturgia ci introduce nel mistero pasquale e nelle celebrazioni della Settimana santa.