30 marzo
Passione del Signore

Parola di Dio

Is 52,13-53,12: Egli è stato trafitto per le nostre colpe
Dal Salmo 30: R. Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito
Eb 4,14-16; 5,7-9: Cristo imparò l’obbedienza e divenne causa di salvezza per tutti coloro che gli obbediscono
Gv 18,1-19,42: Passione del Signore

 

Commento

Al centro della liturgia del Venerdì santo sta la proclamazione della Passione del Signore secondo l’evangelista Giovanni. La passione secondo Giovanni (Gv 18,1-19,42) presenta la morte di Gesù in croce come l’intronizzazione del re. Nel prefazio I della passione del Signore si prega: «Nella passione redentrice del tuo Figlio tu rinnovi l’universo e doni all’uomo il vero senso della tua gloria; nella potenza misteriosa della croce tu giudichi il mondo e fai risplendere il potere regale di Cristo crocifisso» (Messale Romano, p. 325).

In questa prospettiva gloriosa, la croce viene adorata come il «trono della grazia». Il brano della seconda lettura (Eb 4,14-16; 5,7-9), esorta: «Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno» (Eb 4,16).

Il IV Carme del Servo del Signore ci guida nel cogliere gli elementi di fondo dell’evento della passione e morte del Signore. Innanzitutto, dall’esperienza del protagonista emerge la prima caratteristica, che ritroviamo in Gesù, quella della giustizia. È un uomo giusto al quale viene inflitta una condanna ingiusta (Is 53,8). È un primo tratto indispensabile per cogliere il senso della passione di Gesù. Egli è, come il Servo del Signore, un giusto che per la sua giustizia viene condannato e tolto di mezzo. La sua morte quindi non può essere in alcun modo spiritualizzata, non la si può semplicemente accettare come volontà di Dio, dal momento che è e rimane una ingiustizia. È la sorte del giusto nella storia dell’umanità! (Cf. Sap 2,12-14). La passione e morte di Gesù, come quella del Servo del Signore, è quindi innanzitutto una ingiustizia, mentre colui che subisce questa sorte si presenta come il Giusto.

Un secondo aspetto che possiamo sottolineare è il modo di affrontare la situazione ingiusta nella quale il Servo si viene a trovare in un mondo nel quale l’ingiustizia si impone con prepotenza. Il Servo del Signore, come Gesù davanti ai suoi accusatori, non risponde con gli stessi mezzi violenti. Egli è mite, come coloro che sono stati detti felici nelle beatitudini (Mt 5,5). Del Servo Isaia dice: «Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca» (Is 53,7). Il giusto ingiustamente condannato affida a Dio la sua difesa e non assume gli stessi mezzi dei suoi accusatori, ma anche nell’ingiustizia rimane giusto.

Un altro elemento importante che emerge nel modo in cui il Servo vive la situazione nella quale si trova, che è già emerso la Domenica delle Palme e il Giovedì santo, è la sua libertà. Sembrerebbe che in tutti i fatti che vengono narrati il Servo sia unicamente una vittima in balia dei suoi nemici. In realtà ciò che avviene è frutto di una sua libera scelta: «ha spogliato se stesso fino alla morte» (Is 53,12). Il Servo non affronta le vicende della sua vita con rassegnazione e passivamente, ma come protagonista che tiene in mano la sua esistenza e non se la lascia sottrarre da coloro che attentano alla sua vita. Questo aspetto emerge molto chiaramente nel racconto della passione. Basta pensare al dialogo con Pilato (Gv 18,28-38) o all’azione di affidare la Madre-Chiesa al discepolo amato (Gv 19,26).

Sempre sulla linea di cogliere la modalità del Servo del Signore di vivere la passione e la morte, possiamo vedere come il testo legga la sua vicenda in quanto dono di sé per la vita degli altri. È un’idea che ritorna con insistenza nel testo: «Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità» (Is 53, 5; cf. anche Is 53,10). Possiamo proiettare anche quest’aspetto sulla vicenda della passione di Gesù. Anche lui non si presenta come un eroe, che muore unicamente per coerenza con le proprie convinzioni. Se fosse così, gli stessi suoi discepoli non sarebbero altro che i difensori di una causa. Gesù vive sì la sua passione nella libertà, ma per amore dei suoi. Questo aspetto è già emerso nell’episodio della lavanda dei piedi, che si apre proprio con l’affermazione dell’amore di Gesù per i suoi discepoli e per l’umanità fino alla fine (cf. Gv 13,1). È significativo che del Servo si dica che il motivo per cui egli avrà una discendenza sta nel fatto che abbia offerto la sua vita. Anche per Gesù la morte che egli affronta per amore e nella libertà è fonte di vita. Pensiamo al sangue e all’acqua che escono dal costato di Gesù morto in croce: Giovanni stesso interpreta questi elementi come fonte di vita (cf. 1Gv 5,6). Inoltre, il quarto evangelista colloca il dono dello Spirito proprio nel momento in cui Gesù dona la sua vita in croce: «E, chinato il capo, consegnò lo spirito» (Gv 19,30). Il fatto che Giovanni collochi il dono dello Spirito mentre Gesù dona la sua vita in croce, crea un legame tra dono di sé e discendenza, proprio come accade per il Servo del Signore. Nel Vangelo di Giovanni abbiamo già trovato questo annuncio nell’immagine del seme di grano che muore nei solchi della terra per portare frutto (cf. Gv 12,24).

All’inizio del carme si afferma che nell’esistenza del Servo assistiamo ad un fatto mai raccontato (Is 52,15). Nell’esistenza di Gesù e nella sua passione e morte possiamo contemplare questo fatto mai visto: sul volto sfigurato del Servo del Signore, il volto dell’uomo come Dio lo ha sognato e pensato. Per questo anche noi oggi possiamo accostarci con piena fiducia al trono della grazia (II lettura), «per ricevere misericordia e trovare grazia» (Eb 4,16). Oggi la passione del Signore continua nel suo corpo, perché con lui sepolti possiamo risorgere insieme a lui.